Archivi categoria: Riflessioni

L’albero antico

Il tramonto, a volte, è uno dei momenti più dolci della giornata. Seduti gettiamo lo sguardo sull’orizzonte, oltre l’albero antico e “vediamo” un grande spettacolo.
Eccolo. La memoria, infatti, racconta il giorno … i volti … le parole … gli incontri … e poi, immaginiamo l’uomo che, tanti anni fa, pianto’, nel nostro giardino, quell’albero.
Oggi ha radici profonde, una chioma che sembra toccare il cielo e parla di Lui. Si, parla di quell’uomo che ci appare senza volto, senza nome e senza storia. Eppure qui, adesso, tutto parla di Lui. Ci racconta del suo amore per la terra, del suo sguardo dolce, della sua bellezza e della tenerezza del suo cuore che possiamo ritrovare, tutto intero, in questo antico, maestoso, saggio albero del nostro giardino. Da domani mediteremo la Parola seduti alla sua ombra e anche il cuore dell’uomo che lo ha piantato ci farà compagnia. Noi, l’albero e Lui, insieme, per vivere una grande avventura contemplativa.

Franca e Vincenzo osb-cam

C’è qualcuno seduto all’ombra oggi perché qualcun altro ha piantato un albero molto tempo fa.
(Warren Buffett)

 

Giornata mondiale del rifiuto della miseria

Oggi è la Giornata mondiale del rifiuto della miseria. La Giornata dedicata agli scartati a chi soffre tra l’indifferenza generale, a chi ha occhi solo per piangere, a chi, purtroppo, è escluso da tutti e da tutto. Il motto di questa trentesima Giornata mondiale è: «Per un mondo che non lasci nessuno indietro».

La Giornata mondiale del rifiuto della miseriafu celebrata per la prima volta il 17 ottobre 1987 a Parigi, quando centomila difensori dei diritti umani di ogni paese, condizione e origine, si riunirono sul Sagrato dei Diritti dell’Uomo, al Trocadéro su iniziativa di padre Joseph Wresinski.

Fu riconosciuta ufficialmente dalle Nazioni Unite nel dicembre 1992.

Il cuore del messaggio della Giornata è racchiuso in queste parole di padre Wresinski: Laddove gli uomini sono condannati a vivere nella miseria, i diritti dell’uomo sono violati. Unirsi per farli rispettare è un dovere sacro.

Infine merita di essere sottolineato che le strategie di contrasto della povertà sono molto simili nel pensiero di Papa Francesco e di Padre Joseph. «Quell’idea delle politiche sociali – afferma Papa Francesco – concepite come delle politiche “verso” i poveri, ma mai “con” i poveri, mai “dei” poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli “scarti” del sistema».

 

Leggi l’articolo pubblicato su Avvenire

 

 

Negare l’acqua e’ come negare il diritto alla vita

Il disegno è chiaro. Solo i ciechi non riescono a vederlo.

Stiamo vivendo un periodo davvero buio. I diritti conquistati in anni e anni di lotta stanno venendo meno. Ma questo “attacco” delle multinazionali all’acqua  è davvero  senza precedenti.

Franca e Vincenzo osb-cam

 

” …  l’accesso all’acqua pubblica e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non  hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro ineludubile dignità “.

Papa Francesco

Vedi questo piccolo video in cui Papa Francesco parla dell’acqua come bene comune.

Papa Francesco: “L’acqua è un bene comune”. 

 

Caro Angelo, …

Quella appena trascorsa è stata una notte davvero speciale. Una visione di angeli ha attraversato i nostri sogni e i nostri pensieri. Non credi agli angeli? Sbagli amica/o. Gli angeli esistono e in tanti testimoniano di averli visti e incontrati. Ogni angelo ha un compito e tutti ne abbiamo almeno uno che ci accompagna: l’angelo custode.

Ci hanno anche insegnato che gli angeli sono messaggeri del creatore, il cui compito consiste nell’accompagnare e nell’aiutare le persone nel corso della loro vita. Gli angeli custodi sono accanto a una persona dal primo all’ultimo giorno di vita; gli arcangeli sono a disposizione di tutte le persone, indipendentemente dall’esperienza spirituale, religiosa o non religiosa di ciascuno”.

Ebbene noi stamattina gli abbiamo anche scritto una bella lettera. Scrivi anche tu una lettera agli angeli e avrai degli alleati al tuo fianco che in punta di piedi saranno pronti ad aiutarti nel realizzare ciò che desideri.

Lo sappiamo sei scettico. Stai pensando che queste sono fantasie, sogni di due ingenui che credono ancora alle favole. Ma se non ti abbandoni ai sogni e ai desideri, se non lasci viaggiare la fantasia sarai triste e lamentoso. Forse stai pensando a quanti altri hanno gia tentato questa via della felicità ma non sono riusciti a realizzare i “loro” desideri.

Si, questo è gia successo e succederà ancora. In questi casi è certo che quei sogni e quei desideri non erano il loro bene perché il Signore, per la loro vita, aveva ed ha altri progetti. Tu intanto, prenditi un po’ di tempo, prendi anche carta e penna e scrivi  al tuo angelo il tuo desiderio. Chiedi che ti aiuti a realizzarlo e anche a capire se questo rientra davvero nella tua missione. Chiedi di farti intuire cosa sei stato chiamato a fare. Chiedi quale è il compito che Dio ti ha assegnato. Il tuo angelo porterà questa tua richiesta a Dio e ti aiuterà a scoprire la tua via. Lui, il tuo angelo custode, magari, gia da tempo, ti sta suggerendo ciò che Dio vuole da te ma tu non lo ascolti. Allora, da oggi, apri di più il tuo cuore all’ascolto profondo e inizierai a “vedere” lo splendido compito che il Signore ti ha assegnato.

Nel fare la Sua volontà c’è la nostra pace e la vera gioia.

Buona festa degli angeli custodi e dei nonni e auguri a tutti quanti portano il nome di Angela e Angelo.

Franca e Vincenzo osb-cam

Dal libro dell’Esodo
Es 23,20-23a

Così dice il Signore:
«Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato.

Abbi rispetto della sua presenza, da’ ascolto alla sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu dai ascolto alla sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari.
Il mio angelo camminerà alla tua testa».

Parola di Dio

Sprecare speranza

Stamattina nel campo dell’eremo abbiamo seminato i broccoli. Da sempre i contadini seminano nei loro campi e mentre compiono questo antico gesto sperano in un buon raccolto. Se è così e , siamo certi che è così, il cristiano nel mondo è chiamato a seminare la speranza. Se qualcuno, invece, uccide la speranza, si fa seminatore di morte. Ecco cosa di recente ha detto a questo proposito papa Francesco:

“Seminatori di speranza. Un cristiano può seminare amarezze, può seminare perplessità, e questo non è cristiano, e tu, se fai questo, non sei un buon cristiano. Semina speranza: semina olio di speranza, semina profumo di speranza e non aceto di amarezza e di dis-speranza”.

La voce, lo sguardo, i modi di fare siano gentili e tranquillizzanti, in una parola bisogna essere consolatori e donare conforto ad immagine del Paraclito, come esortava a fare il Beato cardinale Newman. Francesco auspica quindi che lo Spirito Santo non solo faccia abbondare nella speranza, ma, di più – dice – “ci faccia sprecare speranza” con i più bisognosi:

“Sono soprattutto i poveri, gli esclusi, i non amati ad avere bisogno di qualcuno che si faccia per loro ‘paraclito’, cioè consolatore e difensore, come lo Spirito Santo si fa per ognuno di noi, che stiamo qui in Piazza, consolatore e difensore. Noi dobbiamo fare lo stesso per i più bisognosi, per i più scartati, per quelli che hanno più bisogno, quelli che soffrono di più. Difensori e consolatori”.

Franca e Vincenzo osb-cam

La terra della speranza.

Può un uomo, un altro uomo, uccidere la speranza? No. Nessun uomo può uccidere la speranza se questa speranza l’hai accolta nel tuo cuore. Qualcuno può chiedersi se esiste da qualche parte sulla terra l’immagine di un Dio fedele. La nostra risposta è si, certo, esiste.

“Quella terra desolata, che agli occhi di ogni viandante appariva un deserto, sarà di nuovo coltivata e si dirà: “La terra, che era desolata, è diventata ora come il giardino dell’Eden, le città rovinate, desolate e sconvolte, ora sono fortificate e abitate” (Ezechiele 36, 34-35).

Ecco, l'”Eden” è la terra della nostra speranza, il posto dove Dio ci vuole suoi collaboratori ed è li, in quella terra, che c’è la nostra speranza. Li  c’è l’immagine del Dio fedele. Il nostro paradiso è proprio lì ed è in quel meraviglioso giardino che regna la vita per noi. Nessun uomo, però, potrà prendere il posto di Dio. Ogni pensiero di Dio per noi, infatti, è un dono da accogliere e amare sempre e comunque senza se e senza ma. In ogni caso Dio ci fa liberi. Liberi  amanti del bene. Questa libertà, però, non sboccia e non germoglia se non c’è “dialogo”. Dio è sempre pronto al dialogo e sempre accoglie le nostre difficoltà e nel dialogo, da Padre vero, ci guida e ci accompagna soprattutto nei momenti difficili.  Dio, infatti, ci conosce in profondità e ci vuole bene, sempre e comunque. Siamo certi che non ci farà mai del male, mai.

Franca e Vincenzo osb-cam

Il Vescovo e il diacono

Ci fu un tempo nel quale nella nostra Chiesa si raccomandava a Vescovo e diaconi (che sono a servizio del Vescovo) di essere mariti di una sola moglie.

Al Vescovo si chiedeva di essere  “sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia guidare bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi, perché, se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?”.

Allo stesso tempo i diaconi venivano chiamati a servire se in possesso di alcune caratteristiche.

I diaconi erano scelti tra “persone degne e sincere nel parlare, moderati nell’uso del vino e non avidi di guadagni disonesti, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. … I diaconi siano mariti di una sola donna e capaci di guidare bene i figli e le proprie famiglie”.

Queste sono le cose che si richiedevano a Vescovi e diaconi …. Ed oggi? Anche oggi è cosi con un’unica differenza relativa alla possibilità di avere una sposa. Su questo punto sia il cristianesimo d’Oriente (ortodossi) che il nostro concordano nel consentire l’ordinazione episcopale solo a sacerdoti non sposati. Tra gli ortodossi, infatti, ci sono anche sacerdoti sposati cosa che per molti secoli (fino a circa il 1000 d.C.) era possibile anche per i cattolici. Preti sposati cattolici, però, ci sono ancora oggi anche in Italia  in zone circoscritte e definite dalla presenza di cristiani di rito orientale ma rimasti fedeli al papa. E dove stanno? A Piana degli Albanesi in Sicilia e in Calabria a Lungro.

Franca   e Vinceno osb-cam

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
1Tm 3,1-13

Figlio mio, questa parola è degna di fede: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia guidare bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi, perché, se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un convertito da poco tempo, perché, accecato dall’orgoglio, non cada nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona stima presso quelli che sono fuori della comunità, per non cadere in discredito e nelle insidie del demonio.
Allo stesso modo i diaconi siano persone degne e sincere nel parlare, moderati nell’uso del vino e non avidi di guadagni disonesti, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. Allo stesso modo le donne siano persone degne, non maldicenti, sobrie, fedeli in tutto. I diaconi siano mariti di una sola donna e capaci di guidare bene i figli e le proprie famiglie. Coloro infatti che avranno esercitato bene il loro ministero, si acquisteranno un grado degno di onore e un grande coraggio nella fede in Cristo Gesù.

Parola di Dio.

Un popolo chiamato Chiesa

Laici, diaconi e donne sono i chiamati dal Concilio Vaticano II a destrutturare il modello organizzativo  tridentino rimasto sostanzialmente immutato. Una lettura precisa e puntuale ci è offerta dalla teologa Serena Noceti in questa relazione dell’aprile scorso. Si tratta di una interessantissima esposizione dedicata alla ministerialita nella Chiesa che vi chiediamo caldamente e vi consigliamo di ascoltare.

Clicca per ascoltare Serena Noceti

A più di 50 anni dal Concilio Vaticano II il modello tridentino è ancora in piedi salvo qualche modifica di facciata. Senza questo cambiamento radicale tutto continuerà come prima.

Ebbene sia il Concilio Vaticano II che papa Francesco (vedi Evangelii  Gaudium ) sono intervenuti in merito e hanno sancito la necessità di una autentica corresponsabilita del popolo di Dio. La  Noceti, vice presidente dell’Associazione Teologica Italiana continua a ribadire che la direzione da seguire è quella di un ritorno alle origini della Chiesa che per essere realizzato ha bisogno di una progettualita che passa attraverso:

1) la creazione di nuove ministerialita’ laicali;

2) un aggiornamento dei percorsi formativi che debbono coinvolgere unitariamente seminaristi,  presbiteri, diaconi, religiosi e laici;

3) la creazione di team di coordinamento dell’attività pastorale delle parrocchie sotto la guida e responsabilità di un laico formato e di cui faccia parte il presbitero, il diacono, una coppia, i religiosi e i laici.

4) una sostanziale autolimitazione dei presbiteri e una vera declericalizzazione della Chiesa, che rappresenta il vero nodo che blocca ogni creatività;

5) 

Sogniamo la parrocchia del domani

Cari amici oggi vi suggeriamo di ascoltare dalla viva voce di Serena Noceti, vice presidente dell’Associazione Teologica Italiana, alcune idee e proposte per la parrocchia del domani. Una parrocchia che abbandona il modello tridentino per vivere questo tempo  frammentato, plurale, di un cristianesimo di minoranza e che ci chiama a partecipare, nella comunità eucaristica, a progettare, insieme, la vita della parrocchia stessa contribuendo, con responsabilità, a costruire relazioni umane d’amore.

Clicca qui e ascolta

Ascolta Serena Noceti 

 

 

Una nuova organizzazione per la Chiesa.

Oggi desideriamo proporvi questa intervista (forse un po’ lunga ma molto precisa e puntuale) rilasciata da una delle teologhe più attente e accorte di questo nostro tempo: Serena Noceti (vice presidente dell’Associazione Teologica Italiana). Chi ama la Chiesa e se ne sente attratto siamo certi che l’apprezzerà tantissimo. Merita davvero un briciolo del nostro tempo e della nostra attenzione.

La pur ampia sala del Centro Studi “Bruno Longo” non è stata sufficiente per accogliere gli oltre 150 intervenuti alla serata Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito (1Cor 12,4). Ministerialità laicali nella parrocchia che cambia organizzata dalla rete chiccodisenape lunedì 17 novembre 2014 alle 21.

Questo incontro è stato il primo di una serie iniziative per accompagnare la riflessione della comunità diocesana sul cosiddetto “riassetto diocesano”, che permetta di mettere in luce gli snodi da affrontare e le soluzioni possibili attraverso un confronto ampio, sereno e libero fra tutte le componenti del popolo di Dio. E ne è stato presente proprio un bell’affresco: dall’anziano parroco di provincia ad alcuni docenti e studenti delle facoltà teologiche, dalle catechiste ai componenti di diverse aggregazioni laicali (Azione Cattolica, Gioc, Meic, Rinnovamento nello Spirito…), dai laici impegnati ad alcuni che non mettono piede in chiesa con facilità. Protagonista dell’incontro è stata la teologa Serena Noceti, vicepresidente dell’Associazione Teologica Italiana e docente di teologia sistematica. La Noceti non è nuova alle iniziative di chiccodisenape: era stata, infatti, relatrice nel primo convegno sul tema Laici responsabili per il Vangelo e per il mondo (2008) insieme a Giuseppe Ruggieri e Marco Vergottini. Qui di seguito le questioni affrontate durante la serata, elaborate dal coordinamento di chiccodisenape sotto forma di intervista.

Torino e molte altre diocesi si stanno interrogare su come articolare la vita della comunità diocesana nel contesto della secolarizzazione, nel quale le modalità di organizzazione a cui eravamo abituati non sembrano più adeguate e il numero di ministri ordinati è in diminuzione. Secondo la tua opinione la parrocchia è davvero in crisi o ha ancora un futuro?

La parrocchia è una delle forme di vita ecclesiale in cui si concentrano molte delle novità del Concilio Vaticano II, che ha avuto un sostanziale cambiamento di linea interpretativa non sempre accompagnato da un mutamento significativo delle prassi. La parrocchia sembra così vivere una crisi perché è andato in crisi il modello tridentino di parrocchia, che non è più significativo sul piano culturale ed è totalmente inadeguato dal punto di vista dell’ecclesiologia del Vaticano II.

Per comprendere appieno la transizione si devono tenere presenti alcune caratteristiche del modello tridentino di parrocchia: un’ecclesiologia universalistica, una concezione di chiesa come societas organizzata sulla base del principio di autorità delegata, che la porta a essere fortemente clericale; la sacramentalizzazione, la socializzazione religiosa dei bambini, la centralità del praticante inteso come individuo singolo, le dinamiche di comunicazione unidirezionali. Opera in un sistema sociale ed ecclesiale stabile, contrassegnato da cambiamenti lenti e da una appartenenza definita dai confini e dai numeri limitati dove vi è una coincidenza del luogo di abitazione, di lavoro di vita sociale e una netta divisione in classi sociali. In sintesi, si tratta di un modello di parrocchia pensata per ordinare e dare senso all’esistente, configurando una figura istituzionale unica e univoca, che deve essere uguale ovunque.

È questo modello è essere messo in crisi, in prima battuta dal cambiamento della situazione socioculturale: i fenomeni di urbanizzazione, di secolarizzazione, di senso democratico nelle appartenenze sociali; il profondo cambiamento nella esperienza del tempo e dello spazio; il superamento della logica del sacro e profano; la fine dell’idea di sistema onnicomprensivo. Il secondo elemento di crisi è dato dalla teologia del Vaticano II, che crea una cesura rispetto al modello tridentino. I documenti del Concilio indicano la possibilità di una pluralità di modelli, di forma e di figure di vita parrocchiale (cfr. Sacrosanctum Concilium 42, Lumen Gentium 28, Apostolicam Actuositatem 10, Ad Gentes 37, Christus Dominus 40) e cambiano l’orizzonte di fondo: il principio è il riconoscimento del vangelo annunciato e quindi la proposta di fede è rivolta in particolare agli adulti, cristiani capaci di vivere il vangelo e di essere soggetti attivi nella comunità; la soggettualità è di tutto il popolo di Dio; la visione del ministero e del laicato sono cambiate; il superamento dell’ecclesiologia universalistica e la valorizzazione della chiesa locale; la presenza di dinamiche comunicative pluridimensionali (LG 12 e DV 8). Crisi di un modello di parrocchia, dunque, e non della parrocchia stessa che, anzi, è da sempre caratterizzata dalla capacità di non essere un oggetto staticamente definito e di modificarsi nel corso dei secoli intorno a due essenziali elementi di continuità: l’annuncio del Vangelo a un gruppo umano presente in un territorio e l’esistenza di una comunità eucaristica e come comunità eucaristica. Le forme parrocchiali nate dal Vaticano II dovranno così comprendere come ripensarsi in una chiave che rimandi a un soggetto umano collettivo (il “noi”) che si relaziona a un territorio; come coniugare la necessità della localizzazione, elemento chiave nella autocoscienza e nell’esperienza ecclesiale, con un criterio di riconoscimento non legato al solo domicilio; come valorizzare la comunità intesa con un gruppo sociale non ampio, definito da relazioni dirette e dinamiche comunicative e partecipative possibili, in cui fare esperienza e manifestare la comunione fondata sulla Parola e nell’eucaristia. Parrocchie, insomma, che siano in grado di trovare un equilibrio tra i due nuclei del vivere ecclesiale: il momento istituzionale e la libera scelta di chi la compone, l’esperienza cristiana personale e l’essere un corpo collettivo.

Sembra che il problema che anima l’interesse nei confronti dell’organizzazione delle diocesi sia la mancanza di preti, spesso considerati il punto di riferimento essenziale e ineludibile delle comunità. Quali sono le criticità di questo approccio?

Per iniziare, una riorganizzazione che guardi al solo dato territoriale rischia di non cogliere il valore delle appartenenze e le logiche di riconoscimento delle comunità. Non dovremmo solo guardare alle comunità dal punto di vista dei servizi da offrire e alla necessaria razionalizzazione delle forze – prospettiva che si concentra sul clero – quanto investire in creatività su nuovi modelli, plurali nelle forme e nell’organizzazione, mettendo al centro il popolo di Dio affiancato da presbiteri e diaconi. Questo approccio comporta tre problemi: le evidenti resistenze di vescovi e preti che dovrebbero ridefinire i loro poteri in vista del passaggio dal modello tridentino alla Chiesa del Vaticano II; la necessità di pensare una riforma per applicare il dettato conciliare (cfr. capitolo II di LG); l’aggiornamento della formazione del clero, che è ancora pensata intorno a una figura di prete unica e statica: a tempo pieno, celibe, dedicato al sacro, e la valorizzazione della figura del diacono, essenziale per identificare il ministero in relazione alla vita e non al sacramento (cfr. LG 29). I ministri ordinati devono presiedere l’eucaristia, perché presiedono la comunità, perché le garantiscono l’apostolicità della fede e dell’identità, ma la loro parola deve promuovere e accogliere la parola dei laici che coniuga vangelo e cultura, vangelo e linguaggi di oggi.

Quali sono gli elementi che possono rendere le nostre comunità dei luoghi dell’esistenza significativi, attraenti e accoglienti?

Propongo un motto e tre strumenti. Il motto è che al centro non ci sia la dottrina ma il vangelo compreso e annunciato insieme. Gli strumenti sono: la capacità di essere “multilocati”, al di là dei luoghi codificati per il sacro; l’attenzione agli adulti, sia nel linguaggio sia nelle proposte; la valorizzazione dei passaggi cruciali della vita (come le crisi di mezza età, che solitamente portano a interrogarsi sul senso di Dio e della vita, o la nascita di un figlio, condizione irreversibile della vita della persona); il coraggio di essere una comunità profetica, in grado di dire qualcosa sui temi scottanti dell’attualità, come ad esempio oggi sulla condizione del lavoratore e sul lavorare.

Questi cambiamenti porteranno a un nuovo coinvolgimento dei laici?

È tempo che la Chiesa possa avere la parola di estroversione che è propria dei laici: essi hanno la possibilità di dire una parola autorevole ma devono formarsi e imparare il linguaggio della teologia per poter comprendere ed essere compresi. Il Concilio Vaticano II ha favorito un maggior coinvolgimento dei laici, se non possiamo dimenticare che ha proposto i primi documenti dedicati ai laici nella storia della Chiesa, Apostolicam Actuositatem e il capitolo IV di Lumen Gentium, non possiamo sottovalutare la compresenza e la giustapposizione di due diverse teologie del laicato nel concilio, una che vede il laico dipendente dal clero, l’altra che ne esalta l’autonomia e la soggettualità intraecclesiale. Si tratta di una tensione non risolta, che non rende facile arrivare a una (auto)coscienza di laici. Questo quadro è stato ulteriormente complicato dalla diffusione nel post-Concilio di alcuni movimenti laicali che, se pure sono stati in grado di rispondere al desiderio di relazione e di comunità reale che le persone desiderano in questo mondo autonomo, hanno ricalcato l’ecclesiologia tridentina sotto molti aspetti (il riferimento alla chiesa universale e non alla chiesa locale, le dinamiche comunicative unidirezionali…). Mi sembra così necessario puntare sulla formazione dei laici, organizzare strutture sinodali nelle quali ripensare la diocesi complessivamente, valorizzare le aggregazioni laicali che favoriscono le dinamiche comunicative multidirezionali.

Quale sarà l’apporto delle donne?

Sono state il vero soggetto della recezione del Concilio anche in modo imprevisto. Il periodo successivo ha visto, infatti, fattori di sviluppo socio-culturale, tra cui la trasformazione dei modelli relazionali uomo-donna, l’accesso all’istruzione superiore, alle professioni, alla politica, ed ecclesiale, come i percorsi di autocoscienza a partire dalla Bibbia, l’apertura allo studio e all’insegnamento della teologia, la ministerialità diffusa. Non possiamo però non considerare che ci sono ancora forti resistenze culturali e strutturali da affrontare, come ha segnalato anche papa Francesco in Evangelii Gaudium(103-104), usando l’espressione “giuste rivendicazioni” e aprendo, così, una nuova prospettiva di lavoro. Per fare qualche esempio, possiamo ricordare che la presenza delle donne è spesso data per scontata e riguarda soprattutto ruoli operativi e non decisionali. Che vi
sono in Italia solo 380 laureate in teologia, delle quali 85 insegnano anche se solo 19 a tempo pieno (cfr. la ricerca Le pietre scartate di Carmelina Chiara Canta). Che sono ancora negati alle donne i ministeri laicali per ragioni di opportunità pastorale…

Quali sono le nuove ministerialità di cui abbiamo bisogno in questo contesto?

Ne proporrei tre in particolare. Il coordinatore di comunità, un ministero istituito da inventare, che cura le relazioni e le forme di partecipazione sinodale della comunità. La creazione di team pastorali per condurre le parrocchie (o gruppi di parrocchie) composte da prete, diacono, religiosi, coppie sposate, che abbiano una retribuzione che permetta loro di essere a servizio a tempo pieno. Biblisti e teologi di “zona”, saranno coloro che aiuteranno piccoli gruppi a formare e dire la fede su tematiche specifiche. A me piace immaginare che degli amici si possano organizzare e chiamare un teologo che per 4-5 incontri faccia degli incontri su tematiche specifiche magari nelle case… la potremmo chiamare “teologia di casa”.

Conosci qualche esperienza significativa che possa essere di ispirazione per la situazione attuale?

Inizio dalla mia diocesi di Firenze: durante l’episcopato del cardinale Piovanelli sono stati assunti cinque laici in curia, proprio per valorizzarne l’importanza e la preparazione, e oggi ci sono 22 piccole parrocchie affidate a coppie di sposi (alcune di queste hanno il marito diacono, ma non solo…). Vi sono poi la cooperativa di animatori di oratorio della diocesi di Milano (parrocchia Aquila e Priscilla) e le cooperatrici pastorali di Treviso, donne che vivono nelle parrocchie, in comunità di tre o quattro consacrate, e che lavorano a tempo pieno per la pastorale. In alcuni paesi, vi sono dei laici che sono pagati dalle comunità per compiere dei servizi pastorali, come i pastoralreferenten/innen in Germania. In Sierra Leone le comunità sostengono con una cifra pari a quella che avrebbero guadagnato continuando a lavorare coloro che decidono di studiare nel seminario per animatori laici di comunità, che poi si mettono al servizio a tempo pieno.