Storie del deserto 1

Un giorno, in un centro monastico del deserto egiziano, a Scete, i monaci decisero di radunarsi per esaminare il caso di un fratello che aveva peccato. Esasperati dalle sue ripetute disobbedienze, erano fermamente decisi ad agire con estrema severità.

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Al momento di iniziare la riunione mancava però abba Mosè, un monaco autorevole ma dal passato non troppo devoto; era stato a capo di una banda di ladri e si era fatto conoscere in tutta la regione per la sua brutalità. Accolto nel deserto da un santo monaco mite e misericordioso, aveva imparato a praticare a propria volta la mitezza e la misericordia. Anche abba Mosè, dunque, era stato convocato per emettere il proprio giudizio. Si presentò in ritardo e in modo alquanto strano. Era ricurvo sotto il peso di una pesante cesta colma di sabbia; la cesta era forata e lasciava scorrere la sabbia dietro le sue spalle. Fece un giro, passando davanti ai monaci disposti in circolo, e dietro di lui la sabbia scorreva. Dinanzi al suo strano comportamento, i monaci restarono ammutoliti; poi, qualcuno osò chiedere: “Che è mai questo, abba?”. Ed egli rispose: “Sono i miei peccati che scorrono via dietro di me senza che io li veda e oggi sono venuto a giudicare i peccati altrui”. All’udire queste parole, se ne partirono dal luogo di riunione e perdonarono al fratello che aveva peccato. Questo episodio, tratto dai detti dei padri del deserto, mi sembra un ottimo commento alle parole di Gesù. “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (Lc 7,41). Siamo molto abili nel cogliere “ciò che non va” nell’altro, mentre lasciamo scorrere dietro di noi senza vederli i nostri peccati.Pretendiamo di erigerci a maestri degli altri e di guidarli e invece siamo ciechi, incapaci di leggere dentro al nostro cuore. Di fronte al male che vediamo nell’altro dobbiamo rispondere anzitutto con un esame sincero del nostro pensare e del nostro agire; l’altro ci fa da specchio, ci fa comprendere ciò che ci abita. Poi, forse, dopo aver cercato di riconoscere e di togliere la trave che ottenebra il nostro occhio, possiamo cercare con amore fraterno, e non più con sguardo cattivo, di aiutare l’altro a togliere la pagliuzza che è nel suo occhio, ma sempre e comunque il Signore ci chiede di perdonare, di offrire quell’iper-dono (dal greco: hypér), super, immenso, gratuito.

(Dall’omelia di Mons. Oliva, vescovo di Locri – Gerace)

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