Le gioie e le speranze

“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Certamente non poteva esserci incipit più bello per un documento che desiderava un incontro rinnovato e cordiale con tutta l’umanità.

Anche Giovanni Paolo II, lo ricordiamo, affermava all’inizio del suo ministero che “l’uomo è la via della Chiesa”. C’è tuttavia da domandarsi se questa apertura esiste ancora, se non siano tornati a formarsi reciproci sospetti, se la Chiesa, oggi, faccia più fatica di ieri a incontrare un’umanità che vive, essa pure, una profonda crisi di identità e di fiducia nel proprio futuro. Ma mi domando anche quale sia il valore della cattolicità della Chiesa: se essa dovrà considerarsi solo come inviata per la salvezza degli uomini e di tutto l’uomo, o non anche inviata nell‘uomo. In altri termini, fin dove giunge la profondità della sua comunione con il mistero umano? Ci si può accontentare – ma sarebbe già, a quel punto, un notevole tratto di strada – di condividere tutto ciò che appartiene alla nostra fragile condizione umana?

Forse c’è bisogno di una antropologia più radicata nel suo fondamento. Solo una “vita in Cristo”, resa possibile dallo Spirito datore di vita, potrà portare la Chiesa intera a sostare alle sorgenti del cuore umano, condividendo tutte le gioie e tutte le speranze, tutte le tristezze e le angosce dell’uomo di oggi.

 

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