In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
Parola del Signore
È dal cuore che escono i mali. Gesù lo dice con chiarezza. Il bene, invece, viene dallo Spirito di Dio. Dal cuore dice Gesù escono: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Il cuore si riempie di malizia e fa confusione e magari ci inganna fino al punto di farci credere buoni? Quando, invece, noi ci doniamo all’altro, quando davvero ci mettiamo a disposizione dell’altro solo allora stiamo ascoltando lo Spirito di Dio. Dobbiamo essere consapevoli che il bene viene solo dall’ascolto dello Spirito di Dio che sceglie di agire attraverso di noi.
Il nostro cuore è facile preda del male. Spesso, infatti, il cuore non è umile e non ama, anzi è la sede del non amore. Dobbiamo fermarci ed essere attenti: cosa ci sta guidando nelle nostre scelte, cosa ci sta spingendo a certi modi di fare, cosa ci sta indicando di compiere certi comportamenti. Siamo preda del male che inganna il cuore e che ci fa credere di essere buoni. Cerchiamo di invocare lo Spirito di Dio che è l’unica possibilità che abbiamo di correggerci e salvare la nostra vita. Non viviamo da illusi del bene, solo lo Spirito di Dio può portarci al bene ed è Lui che dobbiamo invocare.
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».
Parola del Signore.
Anche oggi l’uomo sembra preoccuparsi e molto dell’inquinanento atmosferico, della distruzione delle foreste ma poco o nulla si preoccupa dell’inquinanento interiore. Forse è ora di riprendere la cura del cuore. Non è mai tardi per ricostruirci come donne e uomini. C’è sempre la possibilità di un nuovo inizio se davvero lo desideriamo.
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono. Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse. E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.
Parola del Signore.
Quante volte abbiamo sentito che Gesù guarisce e che il suo sguardo e lasua Parola sanno sollevarci dalla polvere. Forse, però, ci siamo fatti scivolare addosso queste parole e siamo rimasti fermi nel nostro dolore e nella nostra sofferenza. Oggi abbiamo riascoltato di una folla di persone che, invece, lo cerca e gli porta i malati. Gesù compie prodigi: guarisce e salva.
Proviamo, proviamo per una volta, a cercarlo davvero, proviamo a toccare o almeno a sfiorare il suo mantello e vivremo il miracolo della guarigione sulla nostra pelle e nel nostro corpo. Non siamo noi che possiamo salvare il mondo, solo il Signore può farlo. Solo il Signore può cambiare i cuori delle persone.
Mai come in questo tempo occorre essere saggi e quindi capaci di sviluppare comportamenti e giudizi equilibrati, di saper distinguere il bene dal male, di saper valutare i fatti e decidere se e quali parole dire e come comportarsi. La saggezza è una grande virtù e temere il Signore ci aiuta ad allontanare il male dalle nostre parole e dalle nostre azioni. Coraggio il Signore è con noi!
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Parola del Signore.
Per ascoltare la lectio di Padre Innocenzo Gargano dal Monastero di Sant’Antonio Abate in Roma clicca qui
Quando ogni settimana eri con noi, questo era il tuo posto. Da oggi questa sedia resterà vuota ma Tusarai sempre con noi.
In occasione dei tuoi settant’anni mi hanno chiesto di scrivere qualcosa e poi lo hanno inserito, con quello di altri amici, in un libretto. Con lo stesso scritto ti saluto insieme a tutta la famiglia. Prega per tutti e anche per noi.
Grazie di esserci stato e continua a farlo.
“Non conformatevi a questo mondo, ma trasformatevi rinnovando il vostro modi di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 2).
Ho scelto questo versetto della Lettera ai Romani per raccontare qualcosa di don Simone Di Vito, un prete … di frontiera, un prete … sempre oltre, un prete … capace di sorprendere sempre, un prete … innovatore, un prete e basta!!!
Lo conosco fin da quando era parroco nel borgo di Ventosa, quattro case appoggiate sul crinale di una collinetta degli aurunci a pochi passi dal suo amatissimo paese natio Coreno Ausonio. Da questo borgo antico, fiero della sua storia e dei suoi valori, don Simone ha saputo gettare lo sguardo sempre oltre l’orizzonte, oltre il Golfo di Gaeta, oltre i confini e le barriere mentali che spesso rinchiudono in un recinto tante intelligenze oscurandone l’azione.
Ero ancora un ragazzotto di parrocchia, uno del gruppo che frequentava, come i miei coetanei, l’oratorio di una parrocchia vicina alla sua e il mio parroco don Silvio Aniello, che ho il piacere di ricordare qui, era molto amico di don Simone. Tra i due c’era un’intesa profonda, un feeling che si vedeva ad occhio nudo, una capacità di vivere la fraternità nei fatti e non solo nelle parole come spesso, purtroppo, accade in questi tempi così pieni di giochi di parole alle quali non corrispondono fatti. Altri tempi. Tempi nei quali l’umanità aveva una sua sostanza.
Don Simone negli anni di parroco a Ventosa si è davvero “impastato” nella cultura e nel vivere dei ventosari, ne ha “sposato” il cuore e lo ha fatto con l’ardore e il coraggio di chi ha deciso di essere prete, appunto. Un dono per gli altri. Altri che in questo caso avevano un nome, un volto, una storia, un bisogno.
Non vivevo a Ventosa, non lo frequentavo ma lo seguivo. Lo apprezzavo per il suo coraggio, per la passione, per l’amore che sapeva mostrare nel suo essere prete in una realtà di frontiera, in un contesto difficile, in anni complicati della storia locale sempre caratterizzata dal dominio dei potenti su chi potente non era. In questo contesto non era difficile sapere dove trovare don Simone. Lui era con gli ultimi, con gli eredi dei dominati da sempre, con i vinti, con le vittime di un potere che domina con l’arroganza delle eredità nobiliari o con la maschera dei finti buoni. Lo vedovo, lo seguivo, ne ammiravo i gesti e le iniziative. Non era un mito, no. Per me era un prete che come il mio parroco di allora sapeva stare dalla parte giusta, … gli ultimi.
Quel suo modo di fare, quel suo essere mi ha insegnato molto. Non ne abbiamo mai parlato. Non ne abbiamo mai parlato mai neanche dopo e io, salvo poche importanti occasioni, l’ho frequentato con misura, ma ne ho sempre seguito l’esempio. Lo ringrazio. Lo ringrazio per questo stile misurato fermo di essere prete; lo ringrazio perché la sua vita da prete riscatta mille e mille altre nelle quali e dalle quali emergono, purtroppo, solo belle parole. Lui no. Alle parole ha sempre fatto seguire i fatti. Lo ha fatto rischiando di persona. Lo ha fatto sempre gettando “il cuore oltre l’ostacolo”. Ha educato e formato con i gesti concreti. Un esempio da seguire non per imitare ma per essere. Sapere di essere e fare come è giusto che sia. Lottare con coraggio. Non rinunciare a se stessi per plageria o per accattivarsi il favore dei potenti. Essere se stessi, sempre, in ogni occasione. Essere, per non schiacciare la dignità di persona che il nostro creatore ci ha donato e per la quale è finito sulla croce. Questo è un prete.
Don Simone, come ognuno di noi, aveva ed ha il suo carattere. Non a tutti può piacere, non a tutti può essere gradito ricevere dei no. Anche lui ne ha detti e ne ha detti molti. C’è una differenza però. I suoi “no” e i suoi “si” hanno sempre avuto una motivazione. Non sono stati mai pronunciati senza un ragionamento che li accompagnava e questo ne fa un uomo e, quindi, un prete. Unisco uomo e prete, perché un prete è un uomo vero, e lui lo è. Grazie don Simone. Testimone spesso scomodo, prete non sempre gradito, non sempre amato ma vero, profondamente vero, autentico e appassionato amante del bene comune e della libertà.
Quando lo hanno trasferito a Scauri è andato accogliendo l’invito dell’Arcivescovo Mons. Vincenzo Maria Farano ma lasciando un pezzo di cuore a Ventosa. Anche a Scauri ha svolto il suo servizio da parroco con lo stesso spirito e con l’idea di offrire occasioni di formazione e promozione umana. Lo ha fatto con il piglio di chi sa donare occasioni di rinnovamento nella fedeltà al vangelo, di cambiamento e coinvolgimento dei laici, di saggia e graduale spinta alla comunità verso la corresponsabilità.
Negli anni nei quali don Simone arriva a Scauri muore anche don Silvio Aniello che avrebbe celebrato il mio matrimonio con Franca (la mia sposa). Abbiamo chiesto a lui di farlo e ricordo perfettamente come una delle letture era tratta, appunto, dalla seconda lettera ai Romano. Da quel giorno, il secondo versetto del capitolo dodici è diventato il motto del nostro essere famiglia e don Simone ne era, di fatto, l’esempio concreto. Ora anche nostra figlia che si sposa a maggio 2019 ha scelto lui per far celebrare il matrimonio. Lo ha fatto con nostra sorpresa. Non le avevamo mai detto nulla in proposito e sia lei che Giulio hanno scelto insieme. Bel segno. Forse anche la logica conseguenza di un legame vissuto nella semplicità e nella discrezione per lunghi anni nei quali don Simone ha frequentato la nostra casa costruendo una bella relazione con noi, con lei e con Domenico il nostro figlio primogenito.
Per tutti gli anni a seguire la mia relazione con lui, anzi la nostra relazione di famiglia con lui è rimasta bella, sempre reciprocamente fedele, libera e forte. Lo abbiamo sempre avuto con noi nei momenti belli e brutti, nei momenti tristi e nei giorni della gioia. Insomma uno “stare” reciproco sempre vero, profondo, autentico come si conviene a donne e uomini che con responsabilità e senso del dovere sanno vivere l’amicizia e la fedeltà al vangelo. Bello, davvero bello averlo conosciuto e continuare, oggi, come ieri, a viverlo nella libertà e nella verità.
Non sempre le nostre vedute sono state identiche ma questo non ci ha impedito di essere anche “amici”, di accettare l’idea dell’altro, di riflettere insieme e confrontarci. Don Simone ci ha insegnato molto e continua ancora a farlo come testimone credibile. Grazie di esserci.
Appassionato anche il suo amore per il diaconato, il ministero che Mons. Pierluigi Mazzoni mi ha conferito con altri sette confratelli dopo sette anni di formazione. Io credo che questa sua predilezione per il ministero diaconale derivi anche dalla sua fedeltà al Concilio Vaticano II e ad una Chiesa chiamata, sempre più, a leggere i segni dei tempi, interpretando il presente con la necessità di procedere ad un rinnovamento profondo che sia un ritorno alle origini e ad una fedeltà vera alla buona notizia della quale ogni battezzato deve essere fedele interprete.
Don Simone è un prete capace di grandi slanci ma un prete saggio al quale chiedere consiglio, un prete che con verità ti sa dire cose che altre persone, magari, evitano di fare. E’ il suo modo di amare, uno stile impregnato di schiettezza, poco avvezzo ai fronzoli, cose che a volte, alcuni non gradiscono ma, e ne sono convinto, con il tempo apprezzano.
Questo è don Simone per me. Spero di poterlo sempre avere tra i miei amici più cari. Un prete per amico. Grazie di esservi
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Parola del Signore.
Gesù insegna alla folla che appare sola e smarrita perché era rimasta senza una guida. In questa scena ci vediamo il bisogno di noi tutti di avere una guida Autorevole, dolce, premurosa e attenta; ci vediamo l’invito del Signore ai suoi inviati ad andare incontro al popolo; ci vediamo l’esempio di un modello di Chiesa che manca. Prima di questo momento i discepoli avevano raccontato a Gesù il frutto della loro missione e l’evangelista aveva notato come anche il Maestro si era accorto che erano stanchi e affaticati. Gesù stesso invita i suoi discepoli a fermarsi un po’ per riposare, invita a trovare un luogo dove, nel silenzio, raccogliere le idee e vivere, in sostanza quella che oggi chiamiamo esperienza degli esercizi spirituali. Questa esperienza più che un dovere è una necessità, un bisogno di ogni cristiano ma più ancora di ogni consacrato per meglio esercitare il suo colpito. È cosi’ che Gesù conduce i discepoli in disparte, in un luogo, distante dal chiasso del quotidiano per vivere un breve tempo di riposo per, poi, essere più in forma per continuare la missione.
In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!». Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
Parola del Signore.
Giovanni è l’emblema della coerenza. L’uomo che testimonia con coraggio la verità e che non cede di fronte al potere pagando con la vita. La coerenza dei pensieri e delle azioni libera l’uomo dalla schiavitù e da un senso vero a questa vita. L’opportunismo e l’esercizio del potere dissociato dalla coscienza, invece, genera mostri. Erode, assecondando il desiderio della figlia di Erodiade (quest’ultima sua amante) diventa il simbolo del criminale fallito e uomo del male.
Il vero vincente è Giovanni che vive la vita dandole un senso capace di unire il presente e il futuro. Erode, invece, vivrà nel tormento della coscienza torturato nel suo intimo.
Anche noi oggi nelle piccole e grandi situazioni della vita chiediamoci: “Questo che ho detto o che o fatto è giusto?” La coscienza ci darà la risposta giusta per correggere i nostri comportamenti.
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Parola del Signore.
Questa notte la cometa dei Neanderthal, sta salutando la Terra. Tante persone sono in attesa. È uno spettacolo poterla vedere in questo cielo carico di stelle. Un cielo pieno di Speranza, la stessa Speranza che Dio ci ha donato e che dobbiamo portare sempre con noi per toccare il cielo con un dito.
La Speranza ha animato e sostenuto la vita del giusto e pio Simeone che ha atteso per tutta la vita di poter vedere la consolazione d’Israele, cioè quel piccolo bambino che ha portato la Salvezza nel mondo. A guidarlo è stato lo Spirito Santo, lo stesso che abbiamo ricevuto nel battesimo e che continuamente ci lancia messaggi per condurci dal Signore.
Oggi preghiamo affinché nessuno perda la Speranza e affinché la bellezza di questo cielo puntellato di stelle ci doni stupore e meraviglia e ci ispiri cammini d’Amore belli e autentici.
La vita merita di essere vissuta con la Speranza e la Fiducia certi che il Signore non permetterà al male di vincere la sua azione. Nessun male potrà mai rovinare per sempre la nostra vita. E allora alziamo lo sguardo in alto dove siamo sicuri che il cuore potrà vedere l’invisibile.
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Parola del Signore.
Al centro di questo brano c’è il pregiudizio. Spesso, quasi sempre, ci costruiamo nostre verità. Crediamo di sapere, crediamo di conoscere, crediamo di aver capito tutto di quella persona e, quindi, cresce in noi il pregiudizio. Questo modo di essere in verità ci impedisce di vivere, ci allontana dalla realtà e ci fa vivere in un mondo tutto nostro senza alcuna possibilità di vedere la realtà, senza aprirci realmente al confronto, senza, diciamolo, cogliere la presenza di Dio attorno a noi. Eppure Dio è presente proprio dove noi non immaginiamo, Dio c’è nella persona che abbiamo scartato, che riteniamo inutile, Dio è presente proprio in quella persona verso la quale abbiamo costruito pregiudizi. Il passo del Vangelo di Marco ci vuole mettere in guardia da questo grave pericolo che non ci consente di essere persone di accoglienza, persone aperte, persone che sanno valorizzare l’altro. Noi, invece, ci organizziamo per escludere l’altro, abbiamo paura che possa essere più bravo (e spesso lo è davvero) credendo, in questo modo, di proteggerci. Dobbiamo riconoscere di essere dei falliti che per essere protagonisti abbiamo bisogno di escludere l’altro, di fare finta di non conoscerlo e addirittura di ignorarlo. Siamo davvero meschini!
Anche Gesù ha subito lo stesso trattamento. È stato così che non ha fatto prodigi nella sua terra ed è scappato andando a vivere altrove, in luogo o nei luoghi dove era stato accolto e amato.