Il cibo e il vino nel monastero

Ciò che emerge per cibo e vino in monastero è la sobrietà, la moderazione, l’uso dei beni senza eccessi … Sono principi cardine della vita cristiana, vie che aiutano a camminare verso la santità… E così, nel particolare vediamo che San Benedetto vuole due pietanze cotte, per assicurare il necessario ai fratelli malati (v.2), ma chi aveva stomaco forte poteva senza dubbio fare onore ad ambedue. L’eventuale terzo piatto era di legumi teneri che in Italia del Sud il popolo soleva mangiare anche crudi: fave, ceci, lupini, ed anche carote, cipolle, ravanelli, ecc. Per il pane si parla di una “libbra”, peso tradizionale presso tutti i monaci. … Sull’uso del vino nella tradizione monastica, si va dalla totale proibizione (Vita di Antonio, Pacomio, Basilio – solo per i malati -, Giovanni Crisostomo…), alla progressiva (Agostino, Ilario di Arles…) e pacifica ammissione (Cesario, Aurichiano, Isidoro, Fruttuoso…).  San Benedetto  accetta le cose come sono e vi si adatta, pur ricordando e lodando l’austerita` antica. E aggiunge la norma di Basilio  di non bere almeno fino alla sazieta`, citando la frase del Siracide 19,2 che, presa integralmente, suona cosi`: “vino e donne fanno traviare anche i saggi”. A San Benedetto in questo punto, il secondo termine (le donne) non e` pertinente!

Volendo tenere il debito conto delle necessità individuali, riteniamo che per il pranzo quotidiano fissato – a seconda delle stagioni – dopo Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due pietanze cotte,
in modo che chi eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa servirsi dell’altra.
Dunque a tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte e se ci sarà la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga una terza.
Quanto al pane penso che basti un chilo abbondante al giorno, sia quando c’è un solo pasto, che quando c’è pranzo e cena.
In quest’ultimo caso il cellerario ne metta da parte un terzo per distribuirlo a cena.
Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l’abate lo riterrà opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento,
purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi dall’ingordigia.
Perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola,
come dice lo stesso nostro Signore: “State attenti che il vostro cuore non sia appesantito dal troppo cibo”.
Quanto poi ai ragazzi più piccoli, non si serva loro la medesima porzione, ma una quantità minore, salvaguardando in tutto la sobrietà.
Tutti infine si astengano assolutamente dalla carne di quadrupedi, a eccezione dei malati molto deboli.
Capitolo XL – La misura del vino
“Ciascuno ha da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro”
ed è questo il motivo per cui fissiamo la quantità del vitto altrui con una certa perplessità.
Tuttavia, tenendo conto della cagionevole costituzione dei più gracili, crediamo che a tutti possa bastare un quarto di vino a testa.
Quanto ai fratelli che hanno ricevuto da Dio la forza di astenersene completamente, sappiano che ne riceveranno una particolare ricompensa.
Se però le esigenze locali o il lavoro o la calura estiva richiedessero una maggiore quantità, sia in facoltà del superiore concederla, badando sempre a evitare la sazietà e ancor più l’ubriachezza.
Per quanto si legga che il vino non è fatto per i monaci, siccome oggi non è facile convincerli di questo, mettiamoci almeno d’accordo sulla necessità di non bere fino alla sazietà, ma più moderatamente,
perché “il vino fa apostatare i saggi”.
I monaci poi che risiedono in località nelle quali è impossibile procurarsi la suddetta misura, ma se ne trova solo una quantità molto minore o addirittura nulla, benedicano Dio e non mormorino:
è questo soprattutto che mi preme di raccomandare, che si guardino dalla mormorazione.

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