Festa di San Romualdo

Cari Amici dell’eremo buongiorno. Oggi la Chiesa ci propone la memoria di San Romualdo e per i camaldolesi, in tutto il mondo, è giornata di festa. Qui, all’eremo di Aquila e Priscilla, faremo festa con voi e lo faremo in maniera semplice ed in comunione con tutta Chiesa celebrando i Vespri della festa di San Romualdo. San Romualdo ci protegga tutti insieme ai nostri cari. 😊💫

Franca e Vincenzo, osb-cam

S. Romualdo nacque a Ravenna dalla nobile famiglia degli Onesti: i costumi del casato però non corrispondevano al nome. Il duca Sergio, padre del nostro Santo, uomo irascibile e per nulla religioso, venuto in lite con un parente per il possesso di un podere, lo sfidò a duello. Romualdo sebbene aborrisse lo spargimento di sangue, costretto dal padre, dovette assistere a quell’atto irragionevole che terminò coll’uccisione dell’avversario. A quella vista il suo cuore inorridì e corse a nascondersi nel monastero di Classe presso Ravenna, per riparare, con quaranta giorni di penitenza, l’omicidio commesso dal genitore. 

Finita quella quaresima, si sentì mutato; le esortazioni di un frate laico e di due visioni di S. Apollinare, lo decisero a vestire l’abito religioso in quel monastero. 

Trascorsi tre anni, abbandonò il paese natio e recatosi in una solitudine vicino a Venezia, si pose sotto la direzione di un celebre eremita chiamato Marino. Dopo vent’anni di tirocinio, Romualdo in compagnia del maestro e di alcuni nobili veneziani, passò in Francia. fermandosi nei dintorni di S. Michele di Cusa.


Colà prese a progredire mirabilmente di virtù in virtù, superando lo stesso Marino, e molti, ammirando il suo tenore di vita, venivano a mettersi sotto la sua guida. Ivi pure dovette sostenere terribili lotte col demonio, che gli dipingeva in mille modi le difficoltà della vita religiosa, la fragilità della nostra debole natura e l’enorme fatica che ci vuole per giungere a piacere davvero al Signore. Il Santo tutto vinse con la mortificazione e la preghiera. 

Dalla Francia tornò nuovamente in Italia ed ebbe la consolazione di constatare la conversione del duca suo padre. 

Avuto intanto notizia che il suo discepolo Brunone di Querfurt era stato coronato del martirio in Russia, bramando anch’egli di versare il suo sangue per la fede, s’incamminò verso quelle regioni. Ma una grave malattia lo arrestò nell’Ungheria ed egli, scorgendovi un segno della volontà divina, fece ritorno in Italia. 

Riprese quindi le fondazioni e le visite ai monasteri. Un giorno ad Arezzo s’incontrò con un conte aretino di nome Maldolo, padrone di una casa e di una magnifica selva che dal suo nome si chiamava CaMaldoli. Il conte, conosciuto chi fosse quel venerando pellegrino, gli manifestò una visione avuta e gli donò casa e selva. Romualdo, giudicando quella località adattissima per i suoi, ridusse la casa ad ospizio e vicino costruì un eremo per i religiosi contemplativi. Diede loro, con qualche modificazione, la regola benedettina e dal nome del luogo li denominò Camaldolesi. 

Il santo vegliardo fondò ancora un altro cenobio nella valle di Castu, e vicino a questo si costruì una cella romita per passarvi gli ultimi anni. Quivi, affranto, mori il 19 giugno 1027 a 120 anni. La festa odierna ricorda la traslazione delle sue reliquie nella chiesa di Fabriano. 

PRATICA. Imitare S. Romualdo in questo suo bel consiglio: «Presto a letto e presto fuor di letto». 

PREGHIERA. Dela! Signore, ci renda accetti l’intercessione del beato abate Romualdo, affinchè quel che non possiamo coi nostri meriti, lo conseguiamo per il suo patrocinio.

Una preghiera di istituzione divina

Pregare facendo uso del Nome di Gesù è un’istituzione divina: è stata introdotta non tramite un profeta o un apostolo o un angelo, bensì dal Figlio stesso di Dio. Dopo l’ultima cena, il Signore Gesù Cristo diede ai suoi discepoli dei comandamenti e dei precetti sublimi e definitivi; fra questi, la preghiera nel suo Nome. Egli ha presentato questo tipo di preghiera come un dono nuovo e straordinario, d’inestimabile valore. Gli apostoli conoscevano già in parte la potenza del Nome di Gesù: per suo mezzo guarivano le malattie incurabili, sottomettevano i demoni, li dominavano, li legavano e li cacciavano. E’ questo Nome potente e meraviglioso che il Signore comanda di utilizzare nelle preghiere, promettendo che agirà con particolare efficacia. 

«Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio Nome», dice ai suoi apostoli, «la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio Nome, io la farò» (Gv 14.13-14). «In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio Nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio Nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16.23-24).

Diaconi: che fare?

Diacono permanente, «figura specializzata nella carità». Dario Vitali, docente di Ecclesiologia alla Gregoriana: «Un ministero da leggere come vera opportunità per la Chiesa»

Ripensare e valorizzare il ruolo del diacono permanente, fondandolo teologicamente alla luce del Magistero. È questo lo scopo del libro di don Dario Vitali “Diaconi: che fare?”, pubblicato dalle Edizioni Paoline e presentato sabato 25 maggio, nella Sala Tiberiade del Seminario Maggiore.
<Voi non siete, come molti pensano, subordinati del parroco né avete una valenza di semplici sostituti», ha detto in apertura dei lavori, rivolgendosi ai tanti diaconi presenti, il vescovo ausiliare Daniele Libanori, delegato per il diaconato permanente al suo ultimo impegno formale in questo ruolo dopo le nuove nomine dei giorni scorsi. «E non vi competono unicamente funzioni liturgiche ma ruoli di responsabilità nella carità per i quali rispondere al vescovo. È in questa direzione che Papa Francesco ci chiede di operare, non solo sul piano della dottrina ma anche della prassi». Il merito dell’opera di don Vitali è infatti quello di «avere unito il rigore della ricerca teologica all’analisi delle concrete attività pastorali»: così don Walter Insero, vice delegato del Centro diocesano per il diaconato permanente, ha introdotto la relazione dell’autore che è direttore del Dipartimento di teologia dogmatica e professore ordinario di ecclesiologia presso l’Università Gregoriana.
«Per comprendere in pieno uno degli elementi di novità introdotti dal Concilio Vaticano II, e cioè quello del diaconato come grado permanente – ha spiegato don Vitali illustrando il suo approccio metodologico al tema – è importante leggere le fonti, cioè Scrittura e Tradizione, a partire dalla realtà presente e dalle questioni che pone» perché solo «tornando alle radici dell’Antico Testamento, dove già è presente questo speciale ministero nella prima Chiesa, potremo, interrogandole e rivitalizzandole, raccogliere i frutti di quello che è un dono straordinario». Ancora, «proprio il Concilio Vaticano II – ha asserito Vitali – è l’evento che ci ha portato a prendere coscienza di come gli sviluppi storici vadano corretti se si sono allontanati dalla Tradizione e dagli intenti originari» e questa è allora <la strada da percorrere oggi in merito a questo ministero».
È in particolare la Costituzione dogmatica “Lumen Gentium” a definire il diaconato permanente come il primo dei gradi dell’ordine sacerdotale, distinguendolo dal diaconato temporaneo, primo passo verso il presbiterato, perché vi possono accedere anche gli uomini sposati. Il ministero specifico è quello del servizio al popolo di Dio, dalla liturgia alla pastorale, con una speciale attenzione alle opere di carità. «Nella Chiesa delle origini il vescovo operava coadiuvato da tutto il suo presbiterio e con i suoi diaconi – ha spiegato il teologo – cui era affidata in particolare la cura dei poveri e degli ammalati e l’amministrazione economica dei beni». Era quindi concepito come «servitore dei poveri» e per questo quella del diacono permanente è una figura che «nella cura alla Chiesa povera e degli ultimi, sta molto a cuore a Papa Francesco il quale, nel voler riabilitare questo ruolo non fa altro che rispondere al comandamento primo del Vangelo, quello dell’amore al prossimo», ha continuato Vitali.
Il diacono è cioè «la figura specializzata nella carità e in questo deve essere competente, continuando a formarsi per quello che è un ministero da leggere come vera opportunità per la Chiesa». Perché questa ricchezza potenziale possa attuarsi a pieno «deve crearsi una vera sinergia e circolarità, propria dell’essere Chiesa non gerarchica – ha detto in conclusione Vitali – ma fondata sulla comunione: il diaconato ha una sua forma propria e specifica all’interno del servizio nella e alla Chiesa e i diaconi permanenti sono necessari alla Chiesa ad una sola condizione: che siano davvero diaconi».
27 maggio 2019

Guardare oltre

Esiste una povertà ben più grande: non essere amato, desiderato, sentirsi escluso ed emarginato. (Madre Teresa)

Se ci guardiamo attorno, se osserviamo oltre le facciate esterne (oltre le maschere) non sarà difficile scoprire questo mondo di poveri. Forse anche alcuni di noi sono “esclusi” o “emarginati”. Alcuni lo avvertono altri, purtroppo, non se ne accorgono o, peggio, fanno finta di nulla (ignavi). I potenti del momento, quasi sempre mediocri figure mascherate, però, si avvalgono proprio di questo “strumento” per colpire chi non è gradito o non si adegua. Queste tristi figure di detentori del potere, così facendo, credono o pensano di far credere di essere migliori, di essere più bravi, più capaci di altri. Ebbene, questo esercizio del potere è noto, compreso e per nulla stimato. Ma non importa. La vita è piena di una bellezza che nessuna espressione del potere, anche quella più becera, potrà mai oscurare, perché il dono di Dio è immensamente più grande della mediocrità umana. Eppure chi è vittima dell’esclusione, chi è emarginato, chi è spinto al silenzio, chi non si sente amato o desiderato è un uomo ridotto in povertà. Chi si macchia di questa infamia è spesso un mediocre, incapace di accettare il confronto e, purtroppo, incapace di Amare. Quando l’escluso riesce a comprendere questo stato di cose riesce anche a scrollarsi di dosso la condizione di povertà e ha compassione dell’oppressore, riesce perfino a guardarlo negli occhi con sguardo pietoso e a pregare per lui. L’escluso consapevole, perciò, avrà pietà del suo carnefice e lo considererà il vero povero, l’uomo bisognevole di cura e di attenzione: l’uomo da amare. Farà del proprio meglio per aiutare il suo “carnefice” ad uscire da questa sua condizione e cercherà, perciò, di essere strumento dell’amore del Padre. Si sentirà “incaricato” di portare una testimonianza credibile del martirio. Il povero escluso, non amato, emarginato e messo in disparte si sentirà inviato dal Padre, titolare di una missione d’amore da compiere per salvare l’uomo del potere. Un uomo, questo, che con la sua azione quotidiana, spesso nascosta e mascherata da parole vuote, crede, magari, di compiere il bene mentre, in questo modo, sta solo offrendo alla sua vittima l’occasione per esercitare la sua missione d’amore. L’invito per tutti è quello di riuscire a guardare oltre fino al confine del nostro possibile, fidandoci e affidandosi a Dio Padre che ha sempre cura dei suoi figli.

Franca e Vincenzo, osb-cam

Rifiutiamo la maldicenza e il disprezzo

Vangelo vivo: un versetto al giorno.
Da vivere il 22 maggio 2019

Mt dal capitolo 13 “Non è costui il figlio del falegname? … Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi”.

Quante volte accanto a noi si ripete questa situazione? Non facciamoci avvolgere dai pregiudizi o, ancora peggio, dalle maldicenze e non facciamoci noi stessi propagatori di menzogne denigrando gli altri per gelosia o per antipatia.

Franca e Vincenzo, osb-cam

La Parola nel cuore

Il Vangelo di oggi (Gv 21, 1-19) ci spinge a condividere qualche semplice pensiero e a condividerlo. Buona lettura.

Siamo stanchi;

affaticati, sfiduciati

la vita ha mortificato i sogni;

guardiamo al futuro con rassegnazione.

Come Pietro, riprendiamo a pescare;

come il piccolo resto abbiamo occhi spenti;

la fatica del quotidiano riprende vigore;

e i risultati sono magri, quasi nulli.

Sulla riva della spiaggia ecco un uomo;

egli ci invita a riprovare;

seguiamo la sua Parola

ed ecco il frutto del lavoro si fa abbondante.

Ora uno dei nostri riconosce quell’Uomo;

Pietro d’impulso gli va incontro;

arriviamo anche noi;

troviamo l’Uomo a preparare il cibo;

è li come colui che serve.

Ci chiede parte del pescato;

Pietro va a prenderlo

e lo fa stando attento a non strappare la rete;

Pietro evita di lacerare la comunità;

ha cura di tutti, nessuno escluso.

Al ritorno, l’Uomo Gesù lo interroga sull’amore;

Pietro assicura il suo bene tutto umano;

l’amore è qualcosa di più;

Pietro non è ancora pronto al martirio;

ma Gesù gli affida comunque il suo popolo.

Quando obbediamo a Dio e non agli uomini

tutto va meglio, tutto è più giusto.

Ci vuole coraggio per questo,

ci vuole la forza di una coscienza pacificata,

ed è questo che ci chiede Dio:

OBBEDIRE A LUI E NON AGLI UOMINI !!!


Luce nel buio

Ci sono stanze oscure e ambienti bui nei quali basta una sola piccola fiamma di candela per vincere le tenebre. Quella piccola luce porta con se nuove visioni capaci di ridare forza alla vita e grazia ai pensieri. Se a questa flebile luce se ne affianca un’altra la speranza prende corpo e si fa più concreta e, quindi, più capace di dare valore a relazioni spente. Credere in tutto questo è come dare corpo ad una vita nuova. Ognuno di noi può essere luce per l’altro e sconfiggere le tenebre di questo mondo.

Il pozzo nel deserto

Forse è tempo di ritornare a scoprire il pozzo nel deserto … una sfida personale per dare senso all’esistenza e pacificarla.
L’essenziale è invisibile agli occhi o meglio possiamo anche vederlo ma come metà da conquistare. Solo il cuore può davvero vedere l’invisibile agli occhi. In questo tempo, però, abbiamo perduto questo sentiero e l’uomo è sempre più perso nell’impegno a cercare cose materiali distruggendo l’esistenza e non trovando mai vera pace. E così tutto diventa fatica, sudore, lacrime mentre non riusciamo a vedere il bello che c’è in ciò che unisce. Non possiamo ridurre l’essenziale ad oggetti a cose materiali. Se lo facciamo restiamo prigionieri della materia mentre l’uomo pieno è spirituale. Non facciamo sottometterci al potere delle cose e degli altri.

Aquila e Priscilla