Archivi categoria: Viaggio nella Regola di S.Benedetto

Lo zelo del monaco

Con ragione il capitolo 72 e` stato considerato sempre come una delle pagine piu` preziose della Regola. E` certamente il capitolo piu` soave del codice monastico, sintesi del suo contenuto, compendio della perfezione monastica. Chiudendo la Regola San Benedetto non sa meglio sintetizzare il suo insegnamento se non nella parola con cui Gesu` compendia e corona la sua dottrina: la CARITA`.

Questo capitolo e` stato chiamato il “testamento spirituale” di S.Benedetto. Si presenta in effetti con le caratteristiche di un capitolo conclusivo: esortazione, sentenze spirituali, frase finale in forma di augurio e di preghiera; vermanete appare chiaro che ci troviamo di fronte alle “ultime parole” <ultima verba> del Santo Padre.

Le ultime frasi che uscirono dalla penna di San Benedetto possiamo ritenerle queste sullo “zelo buono“. E` stato scritto: “La cosa piu` importante di questo capitolo e` il fatto di offrire la prospettiva in cui si deve leggere la Regola. Appare come San Benedetto , dopo essere vissuto per lungo tempo con i suoi monaci in una vita di preghiera e di osservanze monastiche, sia giunto a questa convinzione: la dimensione della carita`, lo zelo buono; che ne e` il segno e il risultato, e` la cosa piu` importante per il monaco” (J.E.Bamberger).

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Le obbedienze impossibili

  1. Anche se a un monaco viene imposta un’obbedienza molto gravosa, o addirittura impossibile a eseguirsi, il comando del superiore dev’essere accolto da lui con assoluta sottomissione e soprannaturale obbedienza.
  2. Ma se proprio si accorgesse che si tratta di un carico, il cui peso è decisamente superiore alle sue forze, esponga al superiore i motivi della sua impossibilità con molta calma e senso di opportunità,
  3. senza assumere un atteggiamento arrogante, riluttante o contestatore.
  4. Se poi, dopo questa schietta e umile dichiarazione, l’abate restasse fermo nella sua convinzione, insistendo nel comando, il monaco sia pur certo che per lui è bene così
  5. e obbedisca per amore di Dio, confidando nel Suo aiuto.

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Il priore del monastero

L’organizzazione del cenobio prevista da San Benedetto e` quella di tipo pacomiano con i decani: in seguito San Benedetto si sara` dovuto adattare alla tradizione forse piu` corrente nell’ambiente italiano; ma e` chiaro che lo fa di malavoglia, costretto dalle circostanze e scrive questa pagina che irrompe nella Regola violenta e inaspettata, subito dopo il c.64 sull’elezione dell’abate, cosi` carico di umanita` e di delicatezza. La comunita` e` gia` stata organizzata in decanie; il nome stesso di preposito appare solo di sfuggita in 21,7 – che e` chiaramente un’aggiunta – e in 62,7 (anche qui pare un’aggiunta). Invece ora dedica al preposito un capitolo intero abbastanza lungo.

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L’elezione dell’abate

Nel corso dei secoli, come si sa, non sono mancati gravi abusi nell’elezione dell’abate, come all’infelice tempo della commenda o della intromissione di principi o di altri laici. Le reazioni a questi abusi portarono a una dottrina canonica in cui sono precisati dal diritto generale e particolare (dalle Costituzioni delle singole congregazioni) le norme per l’elezione, la procedura, la durata in carica, ecc.

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L’ordine nel monastero

San Benedetto da tre criteri: quello normale e` l’anzianita` monastica, cioe` la data d’ingresso in monastero; un’eccezione puo` essere data da particolari meriti di un monaco; oppure la volonta` dell’abate, il quale e` autorizzato a promuovere e a degradare, ma solo per ragioni superiori e per motivi validi; San Benefetto gli ricorda di fuggire il dispotismo e di  Comunque, l’eta` fisica e l’estrazione sociale dell’individuo non conteranno nulla ( Pertanto anche i fanciulli oblati staranno al posto che corrisponde alla data della loro consacrazione a Dio, anche se sotto la tutela di monaci adulti

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I sacerdoti del monastero

Gli anacoreti copti si mostravano restii all’ordinazione; i pacomiani la rifiutavano in assoluto; in Sitia i migliori monaci si opponevano a che i vescovi imponessero loro le mani. Sacerdozio e monachesimo sono realta` distinte: uno e` per il servizio ministeriale del popolo di Dio attraverso la Parola e i Sacramenti, l’altro e` per lo sforzo di realizzare nella solitudine la perfezione dell’unione con Cristo. Desiderare il sacerdozio per i monaci antichi era segno di superbia; i monaci avevano paura del sacerdozio; sacerdozio e orgoglio vanagloria sono termini spesso associati nei loro scritti (per esempio Cassiano, Inst.11,14-18; Coll.4,20; 5,12). Avevano paura che a motivo del sacerdozio dovessero lasciare la loro vita isolata per il ministero: “il monaco deve fuggire allo stesso modo i vescovi e le donne”, secondo il celebre detto di Cassiano (Inst.11,18).

L’ordinazione di alcuni monaci per il servizio della comunita` poteva dare origine a dispute, invidie, divisioni, problemi di autorita` e di precedenza. Era un rischio. In questo contesto si comprende il c.62 di SB. Oggi, evidentemente, la situazione e la mentalita` sono mutate, la teologia ha aperto una nuova visione. Oggi sarebbe a dir poco ridicolo accettare con la odierna mentalita` l’espressione di Cassiano cosi` come suona…; ma non e` che Cassiano avesse torto: se anche noi oggi avessimo, del “vescovo e della donna”, l’immagine pratica ed esterna che queste categorie immediatamente evocavano, non c’e` dubbio che dovremmo avere la stessa reazione. La realta` spirituale (la teologia) e` la stessa, l’immagine e la situazione esterna e contingente sono mutate. Ma anche oggi, del resto, non mancano aspetti di conflitto esteriore tra “vescovi e gerarchia” e religiosi; non per nulla e` stato necessario il documento pontificio “Mutuae Relationes”.

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Monaci, mestieri e superbia

Tra i fratelli potrebbero trovarsi alcuni che o gia` nel mondo o in monastero si sono resi abili in un’arte. San Benedetto non specifica nulla; pare gli interessi poco; cio` che a lui interessa e` il bene spirituale, quindi evitare il rischio della mancanza di umilta`: cose che sono al di sopra di ogni considerazione di guadagno per il monastero. Percio` potranno questi monaci esercitare la loro arte, ma solo con il consenso dell’abate  e senza ritenersi indispensabili, vantandosi di portare un utile al monastero.

Forse San Benedetto si ispira a S.Agostino, il quale parla di monaci che hanno portato delle sostanze al monastero e che potrebbero insuperbirsi di cio`. Potrebbe ispirarsi anche a Cassiano che parla del lavoro dei monaci egiziani. Per San Benedetto,  se gli artigiani non sono capaci di disinteresse e di distacco, deve proibirsi loro di esercitare la loro arte.

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E’ l’abito che fa il monaco?

Che cosa deve avere dunque ciascun monaco per uso suo personale? Vestiti, calzature e pochi utensili: lo stretto necessario. San Benedetto ha troppa esperienza, prudenza e sensatezza per imporre un vestito uniforme, un “abito religioso” nel senso moderno della parola, valido e obbligatorio per tutti i luoghi e per tutte le persone. San Benedetto vuole che si tenga conto del clima, e cio` fa capire che egli ha una prospettiva ampia (non pensa solo al monastero di Montecassino o di Terracina); esprime la sua opinione su cio` che basta in un clima temperato; non gli interessano il colore e la qualita`, e vuole che i monaci non se ne curino. Cio` che gli interessa e` la poverta`, o meglio la semplicita`: che ci si accontenti del necessario; difatti San Benedetto insiste sulla sobrieta`  e sul ruolo dell’abate nel fornire il vestiario.

L’elenco del vestiario fornito dalla Regola e` abbastanza ridotto: una cocolla di lana per l’inverno e un’altra piu` leggera o consumata per l’estate, la tunica, lo scapolare “per il lavoro” <propter opera>, scarpe e calze. Tutto sembrerebbe chiaro, e invece non lo e` affatto, perche` nessuno dei capi di vestiario menzionati corrisponde a quelli in uso oggi nei monasteri; anche se i nomi sono rimasti, il significato e` mutato. Vediamo in breve:

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L’accoglienza degli ospiti

La Sacra Scrittura parla dell’accoglienza degli ospiti come di un esercizio fondamentale della carita` fraterna  e Gesu` dice che nelle persone di ospiti e pellegrini si riceve lui stesso (Mt.25,35-43). Fin dalle origini del monachesimo, ricevere poveri, pellegrini e ospiti fu ritenuta una pratica sacrosanta della vita quotidiana: cosi` presso i Padri del Deserto (abbiamo tanti esempi e aneddoti nei “Detti”), presso anacoreti, presso i cenobiti pacomiani. San Benedetto si mostra degno erede di questa tradizione. Per il Capitolo 53 della RB abbiamo nella RM vari capitoli (RM.65; 71-72; 78-79), in cui da una parte notiamo grande comprensione e carita` (addirittura il Maestro fa anticipare il pasto dei fratelli a sesta, se l’ospite si trattiene); d’altra parte notiamo differenza nei confronti di ospiti che si fermano piu` giorni: in essi potrebbero nascondersi parassiti e ladri. SB ha soppresso tanta casistica e parla dell’ospitalita` in un solo capitolo unitario e ben compatto, tutto pieno di un profondo spirito di fede, di calore umano e di carita` fraterna.

 

  1. Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto”
  2. e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini.
  3. Quindi, appena viene annunciato l’arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore;
  4. per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace.
  5. Questo bacio di pace non dev’essere offerto prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche.
  6. Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza,
  7. adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità.
  8. Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro.
  9. Si legga all’ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità.
  10. Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all’ospite,
  11. mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito.
  12. L’abate versi personalmente l’acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda;
  13. lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti
  14. e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: “Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio”.
  15. Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d’altra parte, l’imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé.
  16. La cucina dell’abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall’arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero.
  17. Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve.
  18. A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n’è bisogno, perché servano senza mormorare, ma, a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda l’obbedienza.
  19. E non solo in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche particolare servizio del monastero, si segua un tale principio
  20. e cioè che, se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine.
  21. Così pure la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di timor di Dio:
  22. in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge.
  23. Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l’incarico, prenda contatto o si intrattenga con gli ospiti,
  24. ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con gli ospiti.