Il tempo è adesso

Non abbiamo altro da attendere o da sperare. Siamo già, dice Gesù, vicini al Regno di Dio. Cristo, infatti, è già venuto ed il mondo è già salvo. Questo è l’annuncio che viene fatto ai discepoli inviati a due a due per portare la buona notizia. Possiamo, infatti, già toccare con mano, adesso, la bellezza della presenza di Gesù e ascoltare il suo Spirito che ci sussurra le giuste indicazioni al fine di farci fare, nel quotidiano, scelte giuste. Questa rivelazione di Gesù è molto bella e deve aiutarci a vivere la gioia di saperlo con noi ogni giorno. Anche se non lo vediamo, anche se non sentiamo la sua voce con l’orecchio, Egli c’è. Dobbiamo imparare: a trovarlo nella Parola che è sua presenza autentica (per questo leggere tutti i giorni il vangelo ci permette di ascoltare la sua voce); a trovarlo dell’Eucaristia che è sua presenza reale; a scoprirlo nei piccoli e nei poveri, in chi ha fame e sete, in chi è solo, malato, anziano e affamato.

Oggi giorno, perciò, abbiamo la possibilità di incontrarlo, di stare con Lui, di ricevere il suo affetto e sentirci amati nonostante le piccole o grandi cose che nella vita non vanno secondo i nostri desideri. Il desiderio più grande, forse, l’unico che dovremmo coltivare è proprio quello di cercarlo nella Parola, nell’Eucaristia e in ogni persona che incontriamo e che ci da l’opportunità di metterci al suo servizio. “C’è più gioia nel dare che nel ricevere“. Concludiamo con una massima di Tagore, filosofo indiano nato nel 1861 a Calcutta, che dice così: “Dormivo e sognavo che la vita era gioia. Mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che servire era gioia”.

Buona vita di servizio a tutti.

Franca e Vincenzo, osb-cam

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,1-9

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa!. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: È vicino a voi il regno di Dio».

Parola del Signore

Donna straniera

Il racconto di Marco di oggi lascia perplessi per due ragioni: 1) la durezza della risposta di Gesù alla richiesta di aiuto della donna straniera che chiede la guarigione della figlia posseduta dal demonio; 2) l’apertura di Gesù ai non ebrei che a Lui si rivolgono con tanta fiducia per ottenere aiuto.

L’elemento che unisce le due perplessità è la fiducia e la fede di questa donna straniera che chiede aiuto a Gesù e che di Lui si fida.

Di fronte a questa fede Gesù non resta inerme ma interviene liberando dal male la fanciulla. Il demonio è costretto a lasciare la sua preda e la fanciulla è libera. Gesù interviene e non potrebbe essere altrimenti per scacciare il male anche quando la richiesta gli viene presentata da una terza persona.

Oggi possiamo provare anche noi a fare lo stesso chiedendo a Gesù di intervenire nelle situazioni più’ scabrose e difficili. Gesù è oltre le regole dell’uomo, oltre le formalità, oltre ogni ostacolo. Egli sempre e comunque persegue il bene e rende pura ogni cosa perché il suo potere è potente.

Franca e Vincenzo, osb-cam

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto.
Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia.
Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia».
Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

   Parola del Signore

Attenti al cuore

Sia il bene che il male trovano casa nel cuore e dal cuore raggiungono i pensieri, le parole e le azioni. Se il cuore, quindi, è votato al bene la nostra vita diffonderà bene, se, invece, il cuore si è traviato e accoglie in se il male, la nostra vita sarà spinta a compiere alcune di queste azioni: rubare, uccidere, calunniare, invidiare e ingannare. Vivere con un cuore così è davvero terrificante e trasforma la nostra vita in un inferno. Possiamo evitarlo se cerchiamo di fare scelte buone che ci danno pace e serenità. Crediamo che un cuore dove vive il bene sia un cuore che sa ascoltare, un cuore capace di scrutare il profondo nascosto nelle parole o nei gesti di coloro che ci vivono vicino o che incontriamo. Ascoltare e saperlo fare con un cuore che vede ci aiuta a “costruire” un cuore che pensa e fa il bene.

Franca e Vincenzo, osb-cam

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

   Parola del Signore

Il cuore al centro

Quando mettiamo il cuore al centro tutto il resto perde di senso. Le forme non hanno più importanza. Sono solo un involucro vuoto. Ciò che, invece, fa la differenza è il cuore che ha il potere di sconfiggere ogni ipocrisia umana. Nel cuore, infatti, si cela la verità profonda di noi stessi quella che è capace di svelarci il nostro essere più autentico. Il cuore è, davvero, il nostro centro; il luogo nel quale Gesù si fa incontrare e dal quale svela le vuote forme che cercano di ingabbiare la nostra libertà. Nel cuore, perciò, possiamo ritrovare la nostra vera identità e le risposte di senso che cerchiamo. È nel cuore che la Parola di Dio si rivela e smaschera le tradizioni, (tutte costruzioni umane), donandoci l’essenza della verità. La buona notizia ascoltata con la semplicità di un cuore che vede, quindi, ci libera la vita da ogni forma ipocrita.

Franca Vincenzo, osb-cam

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo,  si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».

   Parola del Signore

Toccare il lembo del mantello

Si, quanto anche ciascuno di noi vorrebbe toccare il lembo del mantello di Gesù? Sappiamo che toccare anche solo il suo mantello significa “guarire la nostra vita”, significa sottrarla al potere del mondo, significa leggere la nostra vita come un dono di Dio per la sua e non la nostra gloria. Ebbene, crediamo che se avessimo davvero questo desiderio (quello di seguire Gesù e toccare il suo mantello) la nostra salvezza sarebbe già iniziata e, quindi, ad un passo da averla ottenuta.

Avere fede in Gesù, fidarsi e affidarsi a Lui e non ai nostri desideri e alla nostra volontà è l’unico vero segno che ci accredita la salvezza. Ma non è facile lasciare i nostri desideri, i nostri progetti, la nostra volontà. Ciò che davvero ci da la salvezza è la rinuncia ai desideri, ai progetti e alla nostra volontà per fidarci e affidarci a Lui accogliendo ogni cosa che accade nella nostra vita. Significa avere la forza e il coraggio di accogliere anche quello che non incontra i nostri progetti personali o che umanamente ci fa soffrire. Significa avere la passione di servire il Signore anche se ci criticano, ci maltrattano, ci calunniano, ci offendono, ci emarginano. Gesù in questi casi e in ogni altra circostanza della vita ci sta vicino. Lui è morto per noi sulla croce e sulla croce ci ha salvato.

Franca e Vincenzo, osb-cam

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.

   Parola del Signore

Sale e luce

Siamo sale e luce. Gesù non lo chiede ma lo afferma e lo esige. Egli da per scontato che i suoi discepoli (cioè ogni battezzato) sia sale e sia luce. Cosa vuole dire?

Nella vita il cristiano ha il mandato di portare il riflesso della luce di Gesù e per fare questo non può nascondere i suoi talenti che vanno investiti secondo le indicazioni che Lui fornisce a ciascuno di noi. Poco prima di queste parole, Gesù, aveva pronunciato le beatitudini che sono le vie da seguire per essere sale e luce. Gesù ci suggerisce, infatti, di riconoscerci poveri di spirito e, quindi, bisognevoli di ricevere lo Spirito del Padre a cui affidarci; esalta la mitezza, la fragilità e la debolezza dell’uomo, la passione per la giustizia, l’importanza di praticare la misericordia e la ricerca della purezza del cuore. Questo è il cammino che rende il cristiano “lievito” e, quindi, “riflesso autentico della luce di Cristo” in un mondo che si sta disumanizzando.

Praticando questo stile l’uomo si scioglie e si dissolve nel sociale (come il sale nei cibi ai quali da sapore) e offre al mondo la possibilità di conservare la sua più autentica umanità (come fa il sale per conservare gli alimenti che ogni buona massaia vuole consumare in altro momento).

Ora si comprende ancora meglio la semplicità profonda con la quale Gesù indica la via per essere riflesso della sua luce. Saranno gli altri, poi, a collocare questa luce sul monte in modo che tutti possano vederla.

Franca e Vincenzo, osb-cam

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

   Parola del Signore


Venite in disparte

Gesù è attento osservatore. Scruta il cuore dell’uomo e si prende cura delle necessità di tutti. Per questo ci invita a trovare il tempo di andare in disparte con Lui. Ci chiama ad andare nel deserto per riposarci e ritrovare la carica; per riempirci del suo spirito.

Gesù si accorge che ieri come oggi siamo come pecore che non hanno pastore. Spesso stanchi, smarriti, impauriti, affaticati abbiamo bisogno di ritrovare la forza e lo spirito per affrontare la vita con i suoi momenti di luce e di buio, con i suoi momenti di gioia e di dolore.

Gesù non ci lascia soli e ci chiama a stare con Lui per ascoltare la sua Parola. Una Parola che offre ristoro al nostro cuore sempre in cerca di pace e protezione. Gesù ci coccola, ci accarezza e ci sussurra parole di pace chiedendoci di essere miti, pazienti, umili, semplici e disponibili a riconoscere la nostra povertà di Spirito. Sarà straordinario, allora, sentire Gesù vicino; e sarà bellissimo avvertire il suo sguardo su di noi, la sua carezza che ci sfiora le guance e la compassione del suo sguardo che ci accompagna con un Amore infinito.

Franca e Vincenzo, osb-cam

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

   Parola del Signore

Martiri

Quando la verità incontra il potere dei mediocri l’inganno e la violenza prendono il sopravvento. Quando le parole denudano le ipocrisia della vita la vendetta si scatena e apre al martirio.

La strada della fedeltà al Cristo spinge verso la montagna dove è facile incontrare il dolore e la morte che apre lo sguardo sulla vera gioia.

Accade questo a Giovanni, il più grande uomo nato da donna che non ha paura di raccontare la verità e che trova il martirio grazie ai tradimenti di Erode un potente mediocre e alla vendetta di un’adultera che scatena il suo odio, Erodiade che si serve della giovane e capricciosa figlia fatta strumento di ingiustizia e messaggero di morte.

Giovanni, morirà orribilmente decapitato ma la memoria della sua vita supererà tutti i secoli fino a toccare l’eternità.

Franca e Vincenzo, osb-cam

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!».
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

   Parola del Signore

Beati i poveri in spirito

Ieri papa Francesco all’udienza generale ha tenuto una catechesi sulla prima beatitudine. La condividiamo perché è davvero bella e merita che ciascuno di noi ci dedichi un po’ del suo tempo. Se lo faremo, siamo sicuri che ne avremo grande vantaggio per la vita.

Franca e Vincenzo, osb-cam

Catechesi sulle Beatitudini:2. Beati i poveri in spirito

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Ci confrontiamo oggi con la prima delle otto Beatitudini del Vangelo di Matteo. Gesù inizia a proclamare la sua via per la felicità con un annuncio paradossale: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (5,3). Una strada sorprendente e uno strano oggetto di beatitudine, la povertà.

Dobbiamo chiederci: che cosa si intende qui con “poveri”? Se Matteo usasse solo questa parola, allora il significato sarebbe semplicemente economico, cioè indicherebbe le persone che hanno pochi o nessun mezzo di sostentamento e necessitano dell’aiuto degli altri.

Ma il Vangelo di Matteo, a differenza di Luca, parla di «poveri in spirito». Che cosa vuol dire? Lo spirito, secondo la Bibbia, è il soffio della vita che Dio ha comunicato ad Adamo; è la nostra dimensione più intima, diciamo la dimensione spirituale, la più intima, quella che ci rende persone umane, il nucleo profondo del nostro essere. Allora i “poveri in spirito” sono coloro che sono e si sentono poveri, mendicanti, nell’intimo del loro essere. Gesù li proclama beati, perché ad essi appartiene il Regno dei cieli.

Quante volte ci è stato detto il contrario! Bisogna essere qualcosa nella vita, essere qualcuno… Bisogna farsi un nome… È da questo che nasce la solitudine e l’infelicità: se io devo essere “qualcuno”, sono in competizione con gli altri e vivo nella preoccupazione ossessiva per il mio ego. Se non accetto di essere povero, prendo in odio tutto ciò che mi ricorda la mia fragilità. Perché questa fragilità impedisce che io divenga una persona importante, un ricco non solo di denaro, ma di fama, di tutto.

Ognuno, davanti a sé stesso, sa bene che, per quanto si dia da fare, resta sempre radicalmente incompleto e vulnerabile. Non c’è trucco che copra questa vulnerabilità. Ognuno di noi è vulnerabile, dentro. Deve vedere dove. Ma come si vive male se si rifiutano i propri limiti! Si vive male. Non si digerisce il limite, è lì. Le persone orgogliose non chiedono aiuto, non possono chiedere aiuto, non gli viene di chiedere aiuto perché devono dimostrarsi auto-sufficienti. E quante di loro hanno bisogno di aiuto, ma l’orgoglio impedisce di chiedere aiuto. E quanto è difficile ammettere un errore e chiedere perdono! Quando io do qualche consiglio agli sposi novelli, che mi dicono come portare avanti bene il loro matrimonio, io dico loro: “Ci sono tre parole magiche: permesso, grazie, scusa”. Sono parole che vengono dalla povertà di spirito. Non bisogna essere invadenti, ma chiedere permesso: “Ti sembra bene fare questo?”, così c’è dialogo in famiglia, sposa e sposo dialogano. “Tu hai fatto questo per me, grazie ne avevo bisogno”. Poi sempre si fanno degli errori, si scivola: “Scusami”. E di solito, le coppie, i nuovi matrimoni, quelli che sono qui e tanti, mi dicono: “La terza è la più difficile”, chiedere scusa, chiedere perdono. Perché l’orgoglioso non ce la fa. Non può chiedere scusa: sempre ha ragione. Non è povero di spirito. Invece il Signore mai si stanca di perdonare; siamo noi purtroppo che ci stanchiamo di chiedere perdono (cfr Angelus, 17 marzo 2013). La stanchezza di chiedere perdono: questa è una malattia brutta!

Perché è difficile chiedere perdono? Perché umilia la nostra immagine ipocrita. Eppure, vivere cercando di occultare le proprie carenze è faticoso e angosciante. Gesù Cristo ci dice: essere poveri è un’occasione di grazia; e ci mostra la via di uscita da questa fatica. Ci è dato il diritto di essere poveri in spirito, perché questa è la via del Regno di Dio.

Ma c’è da ribadire una cosa fondamentale: non dobbiamo trasformarci per diventare poveri in spirito, non dobbiamo fare alcuna trasformazione perché lo siamo già! Siamo poveri … o più chiaro: siamo dei “poveracci” in spirito! Abbiamo bisogno di tutto. Siamo tutti poveri in spirito, siamo mendicanti. È la condizione umana.

Il Regno di Dio è dei poveri in spirito. Ci sono quelli che hanno i regni di questo mondo: hanno beni e hanno comodità. Ma sono regni che finiscono. Il potere degli uomini, anche gli imperi più grandi, passano e scompaiono. Tante volte vediamo nel telegiornale o sui giornali che quel governante forte, potente o quel governo che ieri c’era e oggi non c’è più, è caduto. Le ricchezze di questo mondo se ne vanno, e anche il denaro. I vecchi ci insegnavano che il sudario non aveva tasche. E’ vero. Non ho mai visto dietro un corteo funebre un camion per il trasloco: nessuno si porta nulla. Queste ricchezze rimangono qui.

Il Regno di Dio è dei poveri in spirito. Ci sono quelli che hanno i regni di questo mondo, hanno beni e hanno comodità. Ma sappiamo come finiscono. Regna veramente chi sa amare il vero bene più di sé stesso. E questo è il potere di Dio.

In che cosa Cristo si è mostrato potente? Perché ha saputo fare quello che i re della terra non fanno: dare la vita per gli uomini. E questo è vero potere. Potere della fratellanza, potere della carità, potere dell’amore, potere dell’umiltà. Questo ha fatto Cristo.

In questo sta la vera libertà: chi ha questo potere dell’umiltà, del servizio, della fratellanza è libero. A servizio di questa libertà sta la povertà elogiata dalle Beatitudini.

Perché c’è una povertà che dobbiamo accettare, quella del nostro essere, e una povertà che invece dobbiamo cercare, quella concreta, dalle cose di questo mondo, per essere liberi e poter amare. Sempre dobbiamo cercare la libertà del cuore, quella che ha le radici nella povertà di noi stessi.

Il bastone

Qualche anno fa (anno 2007) abbiamo percorso il cammino di Santiago e tutte le mattine in collegamento con Radio Civita, (della quale Vincenzo era il direttore) abbiamo raccontato emozioni e curiosità di questo pellegrinaggio. È stata una trasmissione molto bella e intensa, piena di passione, di stupore e meraviglia per tante piccole cose che hanno segnato la nostra vita. In uno degli appuntamenti mattutini, ci siamo soffermati a parlare del “bastone“. Si, avete letto bene, del bastone che ogni pellegrino porta con se e che rappresenta un “compagno” di viaggio davvero necessario ed indispensabile. Questo semplice strumento ti sorregge nei momenti difficili, ti aiuta a conservare l’equilibrio, ti aiuta in ogni circostanza, ti supporta per superare piccoli fossati o difenderti, in caso di necessità, da qualche bestia selvatica (nella foto i nostri bastoni).

Pensate che anche Gesù nel mandare i suoi discepoli a due a due ordinò loro di portare per il viaggio nient’altro che un bastone e aggiunse di non portare : “né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche”.

Una bella sintonia che ci invita a riflettere tutti sul senso e sul significato del bastone che ogni pellegrino e/o discepolo porta con sé e che lo sorregge nella vita.

Quale è il bastone della tua vita?

Franca e Vincenzo, osb-cam

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

   Parola del Signore

Aquila e Priscilla